La Guida del Sub
Verdesca
nome comune: verdesca o squalo blu
nome scientifico: Prionace glauca
stato di conservazione nel Mediterraneo: CR (Critically Endangered, IUCN Red List, Mediterranean, 2016)
minacce principali: cattura accidentale negli attrezzi da pesca, in particolare nei palangari
tendenza della popolazione: in declino
La verdesca è distribuita in tutti gli oceani tropicali e temperati, inclusi tutti i mari italiani. È una specie sia pelagica che costiera: può raggiungere profondità fino a 1.000 metri, anche se spesso si muove nella zona superficiale del mare (zona epipelagica). La verdesca è una specie migratoria, e i suoi complessi pattern di movimento sono determinati dalla riproduzione e la distribuzione delle sue prede. La verdesca, che vive in genere in mare aperto, nel Mediterraneo sembra spostarsi verso le zone costiere in estate e in autunno, forse per cercare cibo o attratta dall’aumento della temperatura superficiale dell’acqua.
I maschi adulti sono mediamente lunghi tra i 180 e i 280 centimetri, mentre le femmine tra i 220 e i 320 centimetri. Mentre i maschi possono arrivare a pesare 60 chilogrammi, le femmine possono raggiungere i 200 chilogrammi circa. Le femmine adulte di verdesca possono essere riconosciute dalle numerose cicatrici che portano sul dorso. I maschi, infatti, mordono diverse volte la femmina durante il corteggiamento. Inoltre, la pelle delle femmine è spessa circa tre volte quella del maschio, permettendo loro di sopportare meglio il corteggiamento.
La verdesca può cacciare tutto il giorno, anche se si ritiene sia più attiva la notte e soprattutto al tramonto. Sembra che questa specie si nutra soprattutto di piccoli pesci pelagici, come aringhe e sardine, ma anche di cefalopodi, soprattutto calamari e, in misura minore, seppie e polpi. Altre prede comprendono piccoli squali e crostacei, nonché uccelli marini.
È probabile che il nome verdesca derivi dal colore blu-verdastro del dorso di questa specie. Il colore blu si perde però quando l’animale muore, e il colore dorsale vira alle tonalità grigie (grigio fumo o ardesia).
La minaccia principale per la verdesca è la cattura accidentale, la maggior parte della quale non è registrata. È raramente target di pesca commerciale, ma tra i mercati ittici che ne commerciano la carne compaiono Spagna, Italia, Francia e Brasile. Si stima che circa 10.7 milioni di esemplari (0.36 milioni di tonnellate) sono catturati ogni anno per il mercato delle pinne che sono esportate in Asia, soprattutto nel mercato di Hong Kong. In Europa e nel Mediterraneo la pratica del finning (spinnamento) è vietata dal 2005, ma a lungo questo divieto non è stato rispettato. Fortunatamente nel 2018 la Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (CGPM) ha rafforzato il divieto, imponendo che tutti gli squali vengano sbarcati con le pinne naturalmente attaccate ai loro corpi, chiudendo in tal modo le scappatoie.
Nel Mediterraneo, a causa della pesca accidentale e commerciale, la verdesca ha visto un declino tra il 78% e il 90% nel giro di sole tre generazioni (circa 30 anni). Questo declino potrebbe in parte anche essere dovuto allo sfruttamento di individui non maturi, compromettendo la possibilità di riproduzione di questa specie. Nonostante questo declino, al momento nel Mediterraneo non sono presenti limiti al numero di verdesche che possono essere catturate. Inoltre, il commercio di carne di questo squalo non è monitorato nonostante di interesse internazionale.
informazioni da:
- IUCN RedList: Blue Shark (Prionace glauca)
- specie ASPIM: PESCI, Prionace glauca (Linnaeus, 1758)
Cernia bruna
nome comune: cernia bruna
nome scientifico: Epinephelus marginatus
stato di conservazione nel Mediterraneo: EN (Endangered, IUCN Red List, Mediterranean, 2004)
minacce principali: sovrasfruttamento nella pesca commerciale
tendenza della popolazione: in declino
La cernia bruna è distribuita in tutto il Mediterraneo, tra gli 8 e i 300 metri di profondità. Vive in fondali rocciosi facendo di anfratti e cavità la sua tana ma, soprattutto in fase giovanile, può anche essere osservata nelle praterie di posidonia. Le cernie possono avere una tana principale e altre secondarie. Inoltre, quando possono, sembra che scelgano tane con due aperture per consentire più vie di fuga. Quando sono nella tana, che è generalmente poco più grossa dell’animale, le cernie brune usano le spine dell’opercolo per ‘ancorarsi’ all’interno del rifugio. Dato questo uso di habitat rocciosi, la cernia bruna è considerata una specie semi-criptica.
La cernia bruna può essere lunga fino a 120 centimetri, e pesare tra i 30 e i 50 chilogrammi. La colorazione della cernia bruna, chiamata livrea, è di base marrone-verde, con macchie bianche o gialle chiare, ma cambia in base all’età e a stimoli esterni. Durante il periodo riproduttivo, per esempio, le femmine diventano più chiare e i maschi presentano disegni chiari grigio-bianchi su fondo scuro, quasi nero. Cernie brune sono anche state osservate accentuare il contrasto tra la loro colorazione marrone-verde e le macchie bianche, probabilmente per mimetizzarsi meglio con alghe e spugne.
La cernia bruna si nutre di pesci, crostacei e molluschi. Si trova all’apice della catena alimentare dei fondali rocciosi costieri. È un’ermafrodita proteroginico (si sviluppa come femmina, per poi diventare maschio), e le femmine diventano maschi intorno ai 10 anni di età. Nel nord-ovest del Mediterraneo, inclusa la Corsica, si trovato dei siti riproduttivi di questa specie, confermati o ipotizzati.
In Italia, così come in Francia, la cernia bruna è abbondante solo nelle aree a protezione integrale (dove la pesca è totalmente vietata) delle Aree Marine Protette (AMP) soggette a controllo efficace. Emblematico il caso della AMP di Portofino. Negli anni ’50 del secolo scorso si era qui iniziato a praticare la pesca subacquea e, negli anni ’80 dello stesso secolo, le cernie erano quasi del tutto scomparse. La popolazione di cernie brune si è potuta riprendere solo dopo il divieto totale di pesca subacquea.
informazioni da:
- IUCN RedList: Dusky Grouper (Epinephelus marginatus)
- specie ASPIM: PESCI, Epinephelus marginatus (Lowe, 1834)
Polpo comune
nome comune: polpo comune
nome scientifico: Octopus mimus o Octopus vulgaris
stato di conservazione: LC (Least Concern, IUCN Red List, Global, 2016)
minacce principali: pesca non regolata
tendenza della popolazione: sconosciuto
Il polpo comune è diffuso in tutto il Mediterraneo, a profondità comprese tra gli 0 e i 200 metri. Vive nelle cavità dei fondali rocciosi e, grazie all’assenza di endo- ed eso-scheletro, può nascondersi in aperture molto strette. Individui adulti possono raggiungere tra i 120 centimetri (femmine) e i 130 centimetri (maschi), e pesare fino a 10 chilogrammi.
Il polpo possiede tre cuori: uno principale, che rifornisce il corpo di ossigeno, e due secondari che sono situati accanto ai due set di branchie. Ha otto tentacoli contrattili, ognuno dei quali è dotato di due file di ventose (il moscardino ha una sola fila). Ogni braccio del polpo possiede un set di neuroni che lo controlla in modo indipendente dal resto del corpo. Per questo motivo, un tentacolo reciso può rimanere attivo fino a un’ora dopo l’amputazione, mantenendo la capacità di afferrare oggetti. I polpi hanno occhi complessi, che gli permettono di distinguere la luminosità, la dimensione e l’orientamento verticale o orizzontale degli oggetti. Sono anche considerati uno degli invertebrati più intelligenti, e hanno un genoma più ampio di quello umano (33.000 geni codificanti contro i circa 20.000 umani).
Il polpo comune in genere si ciba di altri cefalopodi, crostacei, molluschi e piccoli pesci. Questa specie può rompere i gusci di bivalve o i carapaci di crostacei con il becco, la parte terminale della bocca che si trova al centro dei tentacoli.
Una delle caratteristiche più distintive del polpo comune è la sua abilità di cambiare colore rapidamente, che viene usata principalmente per mimetizzarsi con l’ambiente circostante. Il colore è dato da speciali cellule che contengono pigmento, chiamate cromatofori, e che sono singolarmente innervate dal cervello.
informazioni da:
- IUCN RedList: Polvo-comum (Octopus vulgaris)
- Enciclopedia Britannica: octopoda
- Enciclopedia Britannica: cephalopoda
- le Scienze (edizione italiana di Scientific American): Lo straordinario genoma del polpo (13 Agosto 2015)
- Nature (web archive): Why an octopus never gets tangled (Katia Moskvitch, 15 Maggio 2014)
- Wells, M. J. (1980). Nervous control of the heartbeat in octopus. Journal of Experimental Biology, 85(1), 111-128
- Hanke, F. D., & Kelber, A. (2020). The Eye of the Common Octopus (Octopus vulgaris). Frontiers in Physiology, 10
- FAO Fisheries & Aquaculture – Species Fact Sheets – Octopus vulgaris (Lamarck, 1798)
Thecacera alata
La thecacera alata è un nudibranco, anche chiamati lumache di mare. I nudibranchi sono un sottordine di molluschi che comprende circa 3.000 specie, distribuiti dai poli ai tropici, sia in acque basse che in profondità. In genere di dimensioni ridotte (un paio di centimetri), sono famosi per le loro colorazioni accese. Il nome ‘nudibranco’ viene dal latino nudus (nudo) e dal greco bránkhia (branchia), e significa quindi letteralmente ‘branchie nude’. Nello specifico, nudibranchi come la thecacera alata respirano tramite il ‘pennacchio branchiale’ che si trova nella parte posteriore del corpo. I nudibranchi con il ‘pennacchio branchiale’ sono i Doridoidea, e il loro dorso appare grossomodo regolare. A differenza dei Doridoidea, altre specie di nudibranchi respirano tramite strutture chiamate cerati, protuberanze dorsali del sistema digerente che, oltre ad avere funzioni respiratorie, possono anche avere funzioni di difesa. Questo secondo tipo di nudibranchi è chiamato Aeolidioidea. Nella parte anteriore del corpo dei nudibranchi si trovano invece i rinofori, appendici sensoriali che hanno funzioni tattili e chemoricettive.
I nudibranchi hanno due principali meccanismi di difesa, entrambi basati sulla loro colorazione: il camuffamento e l’aposematismo, ovvero la colorazione che li identifica come non commestibili o velenosi ai predatori. Questi molluschi possono anche difendersi tramite sostanze tossiche o urticanti. I nudibranchi, e in particolare molti Aeolidioidea, si cibano di cnidari, come coralli e meduse, e non distruggono le nematocisti (o cnidocisti), gli organi urticanti specializzati che caratterizzano queste prede. Al contrario, ‘rubano’ le nematocisti e le accumulano all’interno dei cerati in strutture specifiche chiamate cleptocnidi.
La thecacera alata è cosmopolita, un organismo bentonico che è stato osservato fino a 36 metri di profondità. Nel Mediterraneo, questa specie di nudibranco è rara e, secondo una recente analisi delle sue osservazioni, sarebbe stata introdotta recentemente nel nostro bacino da attività umane.
informazioni da:
- Smithsonian, Ocean (Find your Blue): A Collage of Nudibranch Colors
- Smithsonian, Ocean (Find your Blue): How Sea Slugs Steal the Defenses of Their Prey
- Smithsonian Marine Station at Fort Pierce, Species Inventory: Thecacera pennigera
- BioPills: Evoluzione: Il “furto del veleno” da parte dei Nudibranchi
- Doneddu, M., & Trainito, E. (2015). Lo strano caso di Thecacera pennigera (Montagu, 1815) (Nudibranchia: Polyceridae) nel Mar Mediterraneo: ovvero, quando la natura corregge l’errore umano. Notiziario SIM, 33, 4–10.
Tordo verde
nome comune: tordo verde
nome scientifico: Labrus viridis
stato di conservazione nel Mediterraneo: VU (Vulnerable, IUCN Red List, Mediterranean, 2008)
minacce principali: pesca, nello specifico artigianale e locale, e degradazione dell’habitat (Posidonia oceanica)
tendenza della popolazione: in declino
Il tordo verde, conosciuto anche come tordo d’alga, è diffuso in tutto il Mediterraneo. Tuttavia, questa specie ha conosciuto un serio declino nel Mediterraneo nord-occidentale, fino al 30-50% negli ultimi 25 anni, a causa della pesca subacquea e artigianale. Non si sa se un simile declino possa essere avvenuto anche in altre parti del Mediterraneo. Inoltre, il tordo verde è minacciato dalla perdita del suo habitat, la Posidonia oceanica, e il suo degrado a causa dell’inquinamento. La Posidonia oceanica, infatti, è altamente vulnerabile a diverse azioni antropiche, incluse le pratiche di pesca distruttiva, l’erosione costiera e l’aumento di sostanze organiche nell’acqua, ma anche all’aumento della temperatura causata dal cambiamento climatico.
Il tordo verde abita principalmente nei fondali rocciosi ricchi di Posidonia oceanica, fino a profondità di 50 metri. In genere, tuttavia, è più comunemente trovato tra i 10 e i 15 metri. In genere solitario o a coppie, può anche essere trovato in piccoli gruppi. I giovani di questa specie sono in genere verde brillante con una fascia bianca laterale, mentre gli adulti sono verdastri o rossastri con macchie bianche sulle scaglie. Il tordo verde può arrivare fino a 50 centimetri di lunghezza, anche se di solito non eccede i 38 centimetri. Questa specie si ciba principalmente di piccoli pesci, crostacei e altri invertebrati.
Il tordo verde è probabilmente un ermafrodita proteroginico, ovvero nasce femmina per poi diventare maschio. Per questo motivo, i maschi sono in genere più grossi delle femmine.
informazioni da:
- IUCN RedList: Green Wrasse (Labrus viridis)
- Fishbase: Labrus viridis (Linnaeus, 1758)
- iNaturalist: Green wrasse (Labrus viridis)
- Wikipedia: Labrus viridis
- Marbà, N., Díaz-Almela, E., & Duarte, C. M. (2014). Mediterranean seagrass (Posidonia oceanica) loss between 1842 and 2009. Biological Conservation, 176, 183–190 (qui per scaricare il documento)
Murena comune
nome comune: murena comune
nome scientifico: Muraena helena
stato di conservazione nel Mediterraneo: LC (Least Concern, IUCN Red List, Mediterranean, 2007)
minacce principali: pesca di sussistenza su piccola scala (soprattutto in passato, ma probabilmente ritornerà), minore ruolo commerciale
tendenza della popolazione: sconosciuto
La murena comune, anche chiamata murena mediterranea, è un pesce osseo comune in tutto il Mediterraneo, eccetto che nel nord Adriatico. Questa specie si può trovare tra gli 0 e i 50 metri di profondità, e a basse profondità è più comune trovare individui giovani. Trovandosi in acque litoranee, la murena comune potrebbe essere soggetta a varie pressioni antropogeniche, ma il trend della popolazione non è ancora stato quantificato. Mancano inoltre i dati relativi alla cattura di questa specie. In generale, la murena comune ha un basso valore commerciale, ma la sua pelle può essere usata per il cuoio e, in alcune zone del suo range, è target della pesca subacquea.
Le murene posso raggiungere una lunghezza massima di 150 centimetri, anche se mediamente raggiungono gli 80 centimetri. Possono arrivare a pesare fino a 15 chilogrammi. È una specie territoriale e solitaria, che in genere si trova in cavità e anfratti dei fondali rocciosi. La murena trascorre le ore diurne nella sua tana, per poi diventare attiva la notte e cacciare sfruttando il suo olfatto molto sviluppato. Si nutre principalmente di pesci, crostacei e molluschi, soprattutto cefalopodi. Il corpo della murena comune è privo di scaglie, coperto da una pelle spessa e liscia.
Nonostante l’aspetto minaccioso, la murena comune raramente attacca – a meno che non sia provocata. La si può osservare sempre con la bocca aperta, ma questo non è segno di aggressività. Infatti, la bocca aperta facilita il passaggio dell’acqua attraverso le branchie, e quindi la respirazione.
informazioni da:
- IUCN RedList: Black Moray (Muraena helena)
- Enciclopedia Britannica: Moray
- Fishbase: Muraena helena (Linnaeus, 1758), Mediterranean moray
- iNaturalist: Mediterranean moray (Murena helena)
- Wikipedia: Muraena helena (Linnaeus 1758)
Cavalluccio marino camuso
nome comune: cavalluccio marino camuso
nome scientifico: Hippocampus hippocampus
stato di conservazione: DD (Data Deficient, IUCN Red List, Global, 2017)
minacce principali: cattura accidentale e degradazione dell’habitat da parte di azioni antropiche come sviluppo costiero (abitazioni, attività commerciali e turistiche), inquinamento (navi e acque di deflusso) e pesca distruttiva
tendenza della popolazione: sconosciuto
Una delle due sole specie di cavalluccio marino presenti nel Mediterraneo, il cavalluccio marino camuso è distribuito lungo tutte le coste di questo bacino, fino a una profondità di 60 metri. Abita in fondali con sedimenti di vario genere, inclusi sabbia, fango e frammenti di conchiglie, ma può anche essere trovato nelle praterie di fanerogame in prossimità degli estuari. Predatore da imboscata, si ciba in genere di piccoli crostacei.
Il cavalluccio camuso ha una coda ‘prensile’ che gli permette di agganciarsi al substrato, e può nuotare in posizione verticale grazie alla pinna dorsale. Generalmente questa specie rimane in un piccolo range nelle basse acque costiere, ma può migrare stagionalmente verso acque più profonde. In ogni caso, la loro capacità di dispersione e di migrazione è limitata, rendendo virtualmente impossibile la (ri)colonizzazione di nuove aree o di aree in cui questa specie non è più presente. Gli spostamenti a medio raggio, da 100 metri a 1 chilometro, sono spesso accidentali, per esempio a causa di tempeste o mareggiate. Questa specie, trovandosi vicino alla costa, è soggetta all’impatto di attività antropiche come pesca, in cui può figurare come specie accessoria, pesca distruttiva e sviluppo costiero, due cause di degradazione e distruzione di habitat.
Il cavalluccio camuso ha in genere una colorazione scura, tra il marrone e in nero. Può inoltre cambiare colore in risposta a diversi stimoli, inclusi il corteggiamento, l’accoppiamento o una malattia. Ha inoltre delle piccole spine sul tronco e sulla parte caudale. Il cavalluccio camuso è monogamo, e i maschi hanno una borsa incubatrice per i piccoli nell’addome in cui la femmina depone le uova.
Questo cavalluccio marino è catturato e venduto per l’uso in acquari privati o pubblici, o usato come souvenir locale. Queste pratiche sembrano tuttavia essere meno diffuse che in passato e, per gli acquari, le specie tropicali sembrerebbero essere più richieste. Questo cavalluccio, anche se meno di altre specie, è anche richiesto in Asia, e in particolare in Cina, per essere utilizzato nella medicina tradizionale. Dal novembre 2002 è stato quindi inserito nella Appendice II del CITES, la quale elenca le specie il cui commercio deve essere controllato per garantirne la sostenibilità.
informazioni da:
- IUCN RedList: Short-snouted Seahorse (Hippocampus hoppocampus)
- specie ASPIM: PESCI, Hippocampus hippocampus (Linnaeus, 1758)
- FishBase: Hippocampus hippocampus (Linnaeus, 1758), Short snouted seahorse
Cavalluccio marino comune
nome comune: cavalluccio marino comune
nome scientifico: Hippocampus guttulatus
stato di conservazione: DD (Data Deficient, IUCN Red List, Global, 2016)
minacce principali: cattura accidentale e intenzionale; degradazione dell’habitat da parte di azioni antropiche come sviluppo costiero (abitazioni, attività commerciali e turistiche), inquinamento (navi e acque di deflusso), pesca distruttiva e cambiamento climatico
tendenza della popolazione: sconosciuto
Insieme al camuso, il cavalluccio comune è una delle due sole specie di cavalluccio marino presenti nel Mediterraneo. Questa specie, rispetto al cavalluccio camuso, ha un muso più allungato e delle appendici dermiche a prolungamento delle spine che si trovano sul capo e sulla parte dorsale dell’animale. Il cavalluccio marino comune ha una colorazione tra il giallo e il rosso vivo che, soprattutto in esemplari giovani, può includere macchie più chiare – tra il bianco e il giallo chiaro. Nel periodo riproduttivo, la colorazione, sia nei maschi che nelle femmine, sembrerebbe diventare più accesa o cambiare tonalità. Dopo l’accoppiamento, la femmina deposita le uova nella tasca incubatrice del maschio. I piccoli appena nati sono lunghi tra i 12 e i 15 millimetri, con le spine già sviluppate. Come il cavalluccio camuso, questa specie è monogama.
Il cavalluccio marino è distribuito lungo tutte le coste Mediterranee, fino a una profondità di 30 metri. Si trova principalmente lungo le coste e i bassi fondali costieri, ma può spingersi fino ad acque lagunari, estuari e bacini salmastri. Come il cavalluccio camuso, tende a rimanere in un’area ristretta e a migrare stagionalmente in acque più profonde. La loro capacità di migrazione e colonizzazione è assai limitata, e la dispersione di questa specie a medio raggio avviene principalmente in modo accidentale grazie al moto ondoso.
Il cavalluccio marino comune abita fondali con diversi tipi di detrito, inclusi sabbia e roccia, ancorato al fondale con la sua coda ‘prensile’. Tuttavia, esemplari giovani si possono trovare più comunemente nelle praterie di Posidonia oceanica o Zostera. Qui si ciba di piccoli crostacei, un predatore da imboscata come il cavalluccio camuso. Essendo la Posidonia oceanica suscettibile al cambiamento climatico, la perdita di habitat a causa dell’aumento della temperatura è una delle minacce principali per questa specie. Inoltre, come per il cavalluccio camuso, l’habitat del cavalluccio comune è degradato e distrutto da attività antropiche, come sviluppo costiero e pesca distruttiva.
Il cavalluccio marino comune è una specie pescata intenzionalmente per il commercio acquaristico, privato e pubblico. Inoltre, sono richiesti come ingredienti della medicina cinese, dove sono considerati utili per la cura di determinate malattie. Soprattutto in passato, i cavallucci marini comuni venivano usati essiccati come souvenir, e questa pratica potrebbe ancora essere svolta in alcuni paesi costieri. Come il cavalluccio camuso, questa specie è inserita nella Appendice II del CITES, la quale ne controlla il commercio per garantirne la sostenibilità.
informazioni da:
- IUCN RedList: Long-snouted Seahorse (Hippocampus guttulatus)
- Specie ASPIM: PESCI, Hippocampus guttulatus (Cuvier, 1829)
- FishBase: Hippocampus guttulatus (Cuvier, 1829), Long-snouted seahorse
- Chefaoui, R. M., Duarte, C. M. & Serrão, E. A. Dramatic loss of seagrass habitat under projected climate change in the Mediterranean Sea. Global Change Biology 24, 4919–4928 (2018)
Pesce violino
nome comune: pesce violino o pesce chitarra comune
nome scientifico: Rhinobatos rhinobatos
stato di conservazione nel Mediterraneo: EN (Endangered, IUCN Red List, Mediterranean, 2016)
minacce principali: pesca commerciale (carne e pinne) e accidentale
tendenza della popolazione: in declino
Il pesce violino (Rhinobatos rhinobatos), insieme al pesce chitarra (Rhinobatos cemiculus), è una delle due sole specie del genere Rhinobatos che si possono trovare nel Mediterraneo. Queste due specie sono simili tra loro, e i pesci violino sono in media più piccoli dei pesci chitarra. In molte zone, il pesce violino è conosciuto anche come pesce chitarra comune, per distinguerlo dal Rhinobatos cemiculus che viene invece chiamato pesce chitarra dal mento nero. La famiglia dei Rhinobatidae appartiene alle razze, o batoidei, e condivide la sottoclasse di Elasmobranchi con gli squali.
Osservazioni del pesce violino sono state registrate tra gli 0 e i 180 metri di profondità, compresa la zona intertidale. Il più grande maschio registrato misura 140 centimetri, mentre la femmina più grande 162 centimetri. Bocca e branchie, come in tutti i batoidei, sono ventrali. Piccole spine, che appaiono più appuntite negli esemplari giovani, formano una linea nella parte centrale del dorso. La colorazione dorsale del pesce violino sembra molto variabile, forse anche in base all’area geografica, ma comunque tra il marrone e il grigio.
Questa specie può essere osservata nuotare lentamente appena sopra il fondale, ma è più comunemente trovata stazionare sul substrato o leggermente affondata nella sabbia. Si ciba anche sul fondale, predando pesci bentonici, crostacei e molluschi. Il pesce violino usa una ‘macina’ formata dalle sue mascelle per rompere le conchiglie dei molluschi.
Il pesce violino, abitando in acque basse, è suscettibile alla pesca, e conseguente declino della popolazione, nella maggior parte del suo range geografico. È oggetto sia di pesca tradizionale di sussistenza sia di cattura accidentale nella pesca commerciale. In Africa, la pesca del pesce violino può essere intenzionale dal momento che la carne viene venduta, sia fresca che salata ed essiccata, e le pinne vengono commercializzate nei mercati orientali. Inoltre, anche le zone di crescita di questa specie sono verosimilmente affette da attività umane, trovandosi lungo le coste molto popolose del Mediterraneo.
Nel Mediterraneo settentrionale, inclusa l’Italia, i pesci violino erano storicamente abbastanza comuni fino a intorno il 1950. Tuttavia, nonostante la rarità di incontri con questa specie, nel corso del tempo si sono registrate sospette estinzioni locali e una riduzione della popolazione di circa il 50% nel giro di tre generazioni (poco più di 40 anni). A seguito di un’indagine svolta tra il 1994 e 1999, per esempio, il pesce violino è stato dichiarato estinto alle Isole Baleari. Al momento, la specie si ritiene localmente estinta nel Mediterraneo settentrionale.
informazioni da:
- IUCN RedList: Common Guitarfish (Rhinobatos rhinobatos)
- specie ASPIM: PESCI, Rhinobatos rhinobatos (Linnaeus, 1758)
- FishBase: Rhinobatos rhinobatos (Linnaeus, 1758), Common guitarfish
Donzella pavonina
nome comune: donzella pavonina
nome scientifico: Thalassoma pavo
stato di conservazione nel Mediterraneo: LC (Least Concern, IUCN Red List, Mediterranean, 2007)
minacce principali: nessuna grave minaccia registrata
tendenza della popolazione: stabile
La donzella pavonina è distribuita in tutto il Mediterraneo. Preferendo acque calde, sembra essere assente in porzioni di coste settentrionali del Mediterraneo occidentale e Mar Adriatico, e in alcune parti della Sardegna. Tuttavia, l’aumento della temperatura dell’acqua dovuto al cambiamento climatico potrebbe permettere a questa specie di estendere settentrionalmente il suo range geografico. È infatti sempre più comune nel Mar Ligure. Questa specie è stata registrata a profondità comprese tra 1 e 150 metri.
La donzella pavonina abita in prossimità di fondali rocciosi o praterie di posidonia. Durante la notte, si sotterrano in aree sabbiose. È una specie in genere solitaria ma, soprattutto le femmine, possono talvolta formare piccoli gruppi. Questa specie può raggiungere i 25 centimetri di lunghezza e si ciba di piccoli molluschi e crostacei.
La donzella pavonina, come altri pesci, è un’ermafrodita proteroginico, ovvero nasce femmina per poi diventare maschio. Durante la stagione riproduttiva, i maschi diventano territoriali e controllano un harem di femmine. Questa specie presenta un distinto dicromastimo sessuale (la colorazione di maschi e femmine è diversa). La femmina è caratterizzata da bande azzurre e una macchia nera dorsale ma, quando diventa maschio, l’esemplare perde progressivamente le bande blu e la macchina nera. Gli esemplari giovani sono completamente verdi, fatta eccezione per la macchia dorsale nera.
Nel Mediterraneo, la donzella pavonina è localmente pescata, ma ciò sembra non rappresentare una minaccia per la conservazione della specie.
informazioni da:
- IUCN RedList: Ornate Wrasse (Thalassoma pavo)
- Fishbase: Thalassoma pavo (Linnaeus, 1758), Ornate wrasse
- Vacchi, M., et al. Temperature changes and warm-water species in the Ligurian Sea: the case of the ornate wrasse Thalassoma pavo (Linnaeus, 1758). Archo Oceanogr.Limnol. 22, (2001).
Caravella portoghese
La caravella portoghese appartiene al phylum degli Cnidari, lo stesso che include meduse, anemoni e coralli. Questa specie, sebbene possa assomigliare a una medusa, è in realtà un sifonoforo. I sifonofori sono colonie di singoli animali, chiamati zoidi, che sono specializzati e dipendenti l’uno dall’altro poiché fisiologicamente integrati tra loro. Gli zoidi che compongono la caravella portoghese sono di quattro tipi diversi. Il primo è lo pneumatoforo, o ‘vela’. Lungo tra i 9 e i 30 centimetri, e alto fino a 15 centimetri, è una sacca contenente gas che permette all’intero organismo di galleggiare. Dalle tinte blu o viola, data la forma che ricorda una nave da guerra, dà il nome all’interno organismo. Attaccati sotto lo pneumatoforo, crescono i tentacoli. Sono formati da zoidi definiti dattilozoidi, incaricati di catturare le prede per l’intera caravella portoghese. I tentacoli possono raggiungere la lunghezza di 50 metri, anche se in genere si aggirano intorno i 10 metri. Su questi tentacoli si trovano le nematocisti, gli organi velenosi che caratterizzano gli Cnidari. Curiosamente, il piccolo pesce Nomeus gronovii (chiamato anche ‘derivante della caravella’) è immune alla puntura delle nematocisti, e vive tra i tentacoli della caravella portoghese. Una volta che i dattilozoidi hanno catturato la preda, in genere piccoli pesci o plancton, la spingono fino all’organo digestivo della caravella portoghese, composto da altri zoidi definiti gastrozoidi. Il quarto tipo di zoidi che compone la caravella portoghese contiene gli organi riproduttivi, e sono definiti gonozoidi.
La caravella portoghese è una specie oceanica diffusa nelle acque temperate della fascia subtropicale e tropicale dell’Oceano Atlantico, Indiano e Pacifico. È stata tuttavia osservata anche lungo le coste spagnole e nello Stretto di Messina. La puntura di caravella portoghese per le persone è raramente mortale, ma certamente molto dolorosa – e rimane in grado di pungere anche dopo settimane che si è spiaggiata.
La caravella portoghese vive esclusivamente sulla superficie dell’acqua ma, per evitare predatori (tra cui la Caretta caretta), può sgonfiare velocemente lo pneumatoforo e immergersi. Non avendo organi di locomozione, questa specie si muove esclusivamente sfruttando venti, correnti e maree. Questa specie può spostarsi in ‘flotte’ di notevoli dimensioni, che possono contare mille e più organismi.
informazioni da:
- National Geographic Italia, web archive: Caravella Portoghese
- National Geographic: Animals, Photo Ark, Portuguese Man-of-War
- NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration): What is a Portuguese Man o’ War?
Squalo elefante
nome comune: squalo elefante
nome scientifico: Cetorhinus maximus
stato di conservazione nel Mediterraneo: EN (Endangered, IUCN Red List, Mediterranean, 2016)
minacce principali: pesca illegale e accidentale
tendenza della popolazione: in declino
Lo squalo elefante è il più grande squalo esistente dopo lo squalo balena, arrivando fino a 10 metri di lunghezza e a un peso superiore alle 6 tonnellate. Specie pelagica, nel Mediterraneo sembra essere più diffusa nel bacino occidentale e in Italia, dove si ritiene sia relativamente diffusa soprattutto nel Mar Tirreno. Si trova spesso nelle acque intorno alle piattaforme continentali, e avvistamenti in superficie sono stati registrati in inverno inoltrato e inizio primavera. La massima profondità raggiunta da questa specie sembra essere di 1.264 metri.
Lo squalo elefante prende il nome dalla protuberanza che ha sul muso. Questo, mentre appare relativamente corto e irregolare negli esemplari adulti, è prolungato a formare una protuberanza, che appunto somiglia a una proboscide, nei giovani. Come lo squalo balena, lo squalo elefante si ciba di plancton. Quando lo squalo elefante individua un banco di plancton, nuota molto lentamente (circa 2 chilometri orari) con la bocca aperta per catturarlo. La tendenza a seguire i banchi di plancton lo porta a spostarsi lungo la colonna d’acqua, inclusa la superficie.
Lo squalo elefante è una specie solitaria, trovata in gruppi di massimo 3-4 individui. È una specie che esegue sia migrazioni orizzontali che verticali. Gli squali elefante migrano stagionalmente per andare alla ricerca di cibo, arrivando a coprire fino a 9.000 chilometri. Le femmine gravide sembrano migrare in acque più profonde, e in generale gli squali elefante si spostano a profondità elevate per svernare. Questa specie sembra riuscire a raggiungere elevate profondità grazie allo squalene contenuto nel fegato, un idrocarburo di bassa densità che compenserebbe il peso dell’animale e gli permetterebbe di galleggiare a diverse profondità.
La pesca del pesce elefante è proibita in tutto il Mediterraneo dal General Fisheries Council for the Mediterranean (GFCM). Tuttavia, questa specie è ancora vittima di catture accidentali e pesca illegale nei mercati in cui c’è domanda e dove il divieto non è imposto. La pesca del pesce elefante è associata a diversi mercati per le sue parti. In particolare, vengono commerciati l’olio estratto dal fegato, che può essere aggiunto a cosmetici, e il fegato stesso, venduto come alimento curativo in Giappone. La cartilagine è invece considerata un farmaco nella medicina cinese. Esiste anche un mercato per le pinne, considerate pregiate e vendute a cifre che possono sfiorare i 1.000$ per coppia di pinne fresche. Le pinne, come quelle di altri squali, vengono usate per la zuppa di pinne di squalo. A seguito di queste attività di pesca, si pensa che la popolazione di squalo elefante nel Mediterraneo abbia subito un declino di almeno il 50% nelle ultime tre generazioni (100 anni), motivazione della classificazione ‘Endangered’ di questa specie. Lo squalo elefante è anche inserito dell’Appendice II del CITES, la quale ne monitora il commercio e fa sì che i prodotti commercializzati derivino da attività di pesca sostenibile.
informazioni da:
- IUCN RedList: Basking Shark (Cetorhinus maximus)
- specie ASPIM: PESCI, Cetorhinus maximus (Gunnerus, 1765)
Pesce luna
nome comune: pesce luna
nome scientifico: Mola mola
stato di conservazione nel Mediterraneo: DD (Data Deficient, IUCN Red List, Mediterranean, 2007)
minacce principali: pesca accidentale e, in maniera minore, commerciale
tendenza della popolazione: sconosciuto
Il pesce luna è cosmopolita, distribuito nelle acque tropicali e temperate di tutto il mondo. Sebbene registrato in una grande parte del Mediterraneo, dal Mare Ligure al Mediterraneo sud-occidentale, è relativamente raro. Durante l’estate il pesce luna può avvicinarsi alla costa e, nel Mediterraneo, questa specie pelagica è stata osservata dalla superficie a una profondità di 360 metri. Quando in superficie, il pesce luna può galleggiare sul lato e venire trascinato dai movimenti dell’acqua, oppure nuotare in posizione verticale sul pelo dell’acqua con la pinna superiore spesso visibile. Si pensa che la posizione orizzontale assunta in superficie serva al pesce luna per recuperare il calore corporeo perso dopo le immersioni in acque profonde per cibarsi. Sebbene sia generalmente osservato muoversi lentamente, il pesce luna è stato visto percorrere circa 26 chilometri in un giorno e, per evitare predatori, può raggiungere velocità tali da permettergli di saltare fuori dall’acqua.
Questa specie, attraverso il becco formato dalla fusione dei denti, di ciba di pesci, molluschi, zooplancton, meduse, crostacei e stelle serpentine.
Il nome Mola mola deriva dal latino ‘mola’, la macina, in quanto ricorda la forma grigia e rotondeggiante di questa specie. È il pesce osseo più pesante del mondo, arrivando a pesare tra i 247 e 1000 chili, e il suo diametro può raggiungere i 3 metri. Il pesce luna è anche il vertebrato più fecondo, riuscendo a produrre circa 300 milioni di uova alla volta. Sulla pelle e all’interno di questo pesce sono stati trovati circa 50 specie di parassiti diversi. Il pesce luna riesce in parte a gestire questo carico di parassiti lasciandosi beccare da uccelli marini quando nuota orizzontalmente sulla superficie e saltando fuori dall’acqua. Il salto, infatti, si pensa elimini parte dei parassiti che si trovano sulla pelle.
Il pesce luna non ha un’elevata importanza commerciale, ma la sua carne è considerata una delicatezza in alcuni paesi, inclusi Giappone e Taiwan. È inoltre usato nella medicina tradizionale cinese. Nel Mediterraneo, la minaccia principale per questa specie è la cattura accidentale, ma nello Stretto di Messina viene intenzionalmente pescato. Sebbene nel Mediterraneo non siano disponibili dati sufficienti per stabilire lo stato di conservazione di questa specie, il pesce luna è classificato come Vulnerable (VU) dalla IUCN a livello globale. Infatti, principalmente a seguito di catture accidentali, questa specie ha subito un declino sostanziale globale, stimato al 30% in tre generazioni (24-30 anni) – ma fino al 100% in alcune aree.
informazioni da:
- IUCN RedList: Ocean Sunfish (Mola mola), Mediterranean
- IUCN RedList: Ocean Sunfish (Mola mola), Global
- FishBase: Mola mola (Linnaeus, 1758), Ocean sunfish
- Cool Green Science (The Nature Conservancy): Meet The Magnificently Weird Mola Mola, Justine E. Hausheer
- National Geographic: Animals, Ocean Sunfish
Mobula
nome comune: mobula o diavolo di mare
nome scientifico: Mobula mobular
stato di conservazione: EN (Endangered, IUCN Red List, Global & Europe, 2014)
minacce principali: pesca commerciale (Mar di Levante), pesca accidentale, inquinamento (sversamenti di petrolio, plastica e microplastiche), collisioni con navi
tendenza della popolazione: in declino
Il diavolo di mare è una specie quasi esclusivamente mediterranea, osservata sia in acque neritiche che in mare aperto. Sebbene sia in genere associata alla zona epipelagica (fino a 200 metri di profondità), è stata registrata fino a profondità di 600-700 metri. Il diavolo di mare è la specie più grande del genere Mobula, potendo raggiungere una larghezza di oltre 5 metri o una lunghezza totale circa 6 metri. Mediamente, tuttavia, questa specie raggiunge i 3 metri di lunghezza. La parte finale del corpo si assottiglia per formare una coda, dotata di aculeo codale. Questa coda è corta negli esemplari adulti, mentre è più lunga nei giovani.
La mobula, una specie migratoria, si trova generalmente in piccoli gruppi di due o tre esemplari. Tuttavia, durante le migrazioni, si possono formare gruppi più numerosi. Il motivo dietro le migrazioni non è ancora stato completamente chiarito ma, poiché la specie sembra preferire aree con forti correnti, si pensa sia correlato alla distribuzione di cibo. Le mobule si cibano di plancton tramite la filtrazione dell’acqua. Le pinne cefaliche di questa specie, che ricordano appunto delle corna, sembrerebbero facilitare questa operazione – e hanno dato il nome “diavolo di mare” a questa specie. Alla filtrazione dell’acqua sembra essere anche correlata la particolare struttura anatomica della cavità branchiale e degli archi branchiali, che forma delle piastre filtranti branchiali.
Nonostante il nome minaccioso, il diavolo di mare è una specie virtualmente inoffensiva per l’uomo. Al contrario, l’uomo può direttamente o indirettamente danneggiare questa specie. La mobula, ad oggi, è pescata direttamente – e stagionalmente – solo nel Mar di Levante con reti a circuizione (purse seine fishery). Pesca massiva, la pressione di questa pratica è stata alleggerita negli ultimi anni in seguito a un aumento dei controlli e l’eliminazione graduale della pesca illegale con reti a circuizione. Ciononostante, la minaccia concreta rappresentata da queste attività per la mobula nel Mediterraneo orientale suggerisce che questa specie è ancora a rischio di sovrasfruttamento. Inoltre, in Marocco, Turchia e Sud Italia è pescata illegalmente, soprattutto per il commercio delle piastre branchiali. Questa specie è anche a rischio di cattura accidentale in tutto il suo range, soprattutto da parte delle reti derivanti pelagiche (pelagic driftnets). A seguito di queste minacce, la popolazione di mobule ha subito una riduzione di almeno il 50% nel corso delle ultime tre generazioni (circa 60 anni), portando la IUCN a classificarla come Endangered. Alle minacce rappresentate dalla pesca, vanno anche aggiunte quelle dell’inquinamento. In quanto specie epipelagica, infatti, la mobula è vulnerabile a sversamenti di petrolio, ingestione di microplastiche e al traffico marittimo.
informazioni da:
- IUCN RedList: Giant Devil Ray (Mobula mobular)
- specie ASPIM: PESCI, Mobula mobular (Bonnaterre, 1788)
- FishBase: Mobula mobular (Bonnaterre, 1788), Devil fish
Delfino comune
nome comune: delfino comune
nome scientifico: Delphinus delphi
stato di conservazione nel Mediterraneo: EN (Endangered, IUCN Red List, Mediterranean, 2003)
minacce principali: inquinamento chimico (PCB, policlorobifenili), cattura accidentale, alterazione dell’habitat
tendenza della popolazione: in declino
Il delfino comune è un piccolo cetaceo con ampia distribuzione nel Mar Mediterraneo, ma, come altri cetacei, è diviso in distinte sottopopolazioni geografiche. Nello specifico, oggi si distinguono una sottopopolazione che abita il Mar Mediterraneo e una sottospecie (Delphinus delphis subsp. ponticus) nel Mar Nero. Il delfino comune si trova sia in acque pelagiche che neritiche, tenendosi in genere in aree il cui fondale non supera i 200 metri di profondità. Questa specie caccia sia sulla superficie che in acque più profonde, cibandosi prevalentemente pesci e calamari. Nel Mediterraneo, questa specie in genere forma gruppi di 50-70 animali. Al largo del Golfo di Corinto, Grecia, sono anche costantemente registrate aggregazioni di più specie che includono in delfino comune, la stenella striata e il grampo.
Il delfino comune può arrivare a 150 o 250 centimetri e i maschi, di solito più grandi delle femmine, sono distinguibili dalle gobbe postanali, protuberanze posteriori alla zona anale. Questa specie può essere riconosciuta grazie alla sua particolare colorazione. Scura sul dorso e bianca sul ventre, sui fianchi presenta un caratteristico` disegno a clessidra la cui parte anteriore è generalmente gialla-dorata e posteriormente vira al grigio.
Un tempo una delle specie più comuni nel Mar Mediterraneo, questa specie ha subito un calo generalizzato nella regione negli ultimi 30-40 anni, portando quindi la IUCN a classificarla come EN (Endangered). Il delfino comune rimane abbondante nel Mare di Alboràn, la parte più occidentale del bacino Mediterraneo, ma è stato anche avvistato in diverse parti dell’Italia, dalla Sardegna allo Stretto di Sicilia. Questa specie sembra invece essere virtualmente sparita da Mar Adriatico e Mare Ligure.
Diverse cause, agendo singolarmente o in sinergia, potrebbero aver causato il declino del delfino comune nel Mediterraneo. La pesca accidentale è riconosciuta come una delle minacce principali per il delfino comune, così come la mancanza di prede. Se questa mancanza sia dovuta al sovrasfruttamento di stock ittici o al cambiamento climatico – o ad una combinazione di entrambi – è difficile da stabilire. Il delfino comune è minacciato anche dall’inquinamento e, in particolare, dai PCB (policrolobifenili), composti organici che, soprattutto prima degli anni Settanta, avevano un ampio uso industriale. I PCB alterano il sistema immunitario e riproduttivo del delfino comune, con potenziali effetti transgenerazionali. Inoltre, è stato registrato un aumento di stenelle striate in acque precedentemente abitate dal delfino comune. Non è tuttavia chiaro se l’aumento di range della stenella striata è una conseguenza della diminuzione del delfino comune o un ulteriore causa della diminuzione di questa s
informazioni da:
- IUCN RedList: Short-beaked Common Dolphin (Delphinus delphi)
- specie ASPIM: MAMMIFERI, Delphinus delphi (Linnaeus, 1758)
Squalo angelo
nome comune: squalo angelo, pesce angelo o squatina
nome scientifico: Squatina squatina
stato di conservazione : CR (Critically Endangered, IUCN Red List, Global & Europe, 2016)
minacce principali: cattura accidentale, pesca ricreativa, degradazione dell’habitat (sviluppo costiero, turismo)
tendenza della popolazione: in declino
Questa specie, anche chiamata pesce angelo, a dispetto della forma assai particolare è uno squalo, e appartiene alla classe degli Elasmobranchii. Era storicamente diffuso dalla Scandinavia all’Africa nordoccidentale, incluso il Mediterraneo e il Mar Nero. Il range di questa specie ha tuttavia subito una contrazione nel corso del tempo, fino ad arrivare ad estinzioni locali – come per esempio nel Mare del Nord. Nel Mediterraneo, la presenza di questa specie in alcune aree, soprattutto occidentali, è incerta. Tuttavia, recentemente si sono registrati alcuni pesci angelo nel Mar Tirreno e Nord Adriatico. Laddove presente, questa specie si può trovare sui fondali di acque basse costiere temperate, soprattutto sulle piattaforme continentali, ma può raggiungere profondità fino a 150 metri. Lo squalo angelo si può spingere anche nelle acque in prossimità degli estuari. Si ritiene probabile che questa specie migri stagionalmente verso la costa a seguito di cambi di temperatura dell’acqua o in coincidenza della stagione riproduttiva.
Lo squalo angelo è una specie prevalentemente notturna, che nuota vicino al fondo di notte e riposa di giorno. Lo squalo angelo preferisce fondali sabbiosi in cui può sotterrarsi, con i soli occhi visibili, e aspettare le sue prede, tra cui pesci, crostacei e molluschi. La colorazione di questa specie favorisce la mimetizzazione sui fondali sabbiosi, così come l’evasione dai predatori. Gli esemplari adulti di squalo angelo, che possono raggiungere i 180 centimetri, sono tra il marrone e il verdastro, fino al grigio e il rossastro. Hanno inoltre molte macchine chiare e scure, che ricordano i giochi di luce che si possono osservare sugli oggetti sommersi. La colorazione dei giovani pesci angelo è più vivace, con macchie disposte diversamente.
Considerando la contrazione del range occupato, e la contemporanea diminuzione di abbondanza, si stima che questa specie abbia subito un declino di almeno l’80% (ma verosimilmente più vicino al 90%) nel giro di tre generazioni, o circa 45 anni. Tra le cause di questa diminuzione, la cattura accidentale della pesca a strascico è una tra le principali, soprattutto nell’Atlantico nord-orientale e nel Mediterraneo. Questa tecnica di pesca distruttiva non ha solo danneggiato direttamente questa specie, ma ha anche danneggiato il suo habitat e ridotto il numero di prede. In passato, lo squalo angelo veniva anche pescato direttamente in alcune zone del Mediterraneo, e la carne veniva commercializzata. La degradazione dell’habitat lo squalo angelo è anche conseguenza dello sviluppo costiero insostenibile. Il turismo e la costruzione di infrastrutture possono infatti non solo danneggiare gli ambienti sabbiosi vicino alle coste dove questa specie vive, ma anche aree importanti per la sua riproduzione (nursery areas).
informazioni da:
- IUCN RedList: Angelshark (Squatina squatina)
- specie ASPIM: PESCI, Squatina squatina (Linnaeus, 1758)
- FishBase: Squatina squatina (Linnaeus, 1758), Angelshark